Erfahrungen von der COVID-Intensivstation - Schweizer Paraplegiker-Zentrum

Testimonianza dal reparto COVID di terapia intensiva

Intervista alla logopedista Sarah Stierli

All’inizio del 2020 le immagini dei reparti di terapia intensiva sovraffollati, di pazienti gravemente malati e del personale sanitario esausto hanno fatto il giro del mondo. Poco dopo, anche le terapie intensive degli ospedali svizzeri hanno iniziato a riempirsi di pazienti contagiati dal SARS-CoV-2, comunemente chiamato coronavirus. Anche nel nostro Paese alcuni ospedali hanno raggiunto i limiti della loro capacità.

Eppure ci potremmo chiedere come hanno vissuto questa situazione le persone direttamente coinvolte in queste corsie. Quali sensazioni hanno provato i pazienti gravemente malati e messi in completo isolamento? E come ha affrontato il personale curante il rischio di venire a sua volta contagiato? Sarah Stierli, logopedista presso il Centro svizzero per paraplegici di Nottwil, racconta la propria esperienza nel reparto di terapia intensiva durante la pandemia di COVID-19.

Testo: Clara Häfliger
Foto : Sarah Stierli
Data: 14.10.2021

Marzo 2020: stato di emergenza al Centro svizzero per paraplegici

A marzo del 2020 il Cantone di Lucerna ha chiesto assistenza al CSP nel quadro della gestione della pandemia. Così, il Centro è andato ad aggiungersi all’Ospedale cantonale di Lucerna, alla clinica St. Anna e alla clinica Sonnmatt come quarta struttura preposta alla cura dei pazienti con COVID-19.

Sarah Stierli, vice direttrice della sezione di logopedia del Centro di Nottwil, ricorda l’impatto che lo stato di emergenza ebbe sulla terapia intensiva: «Normalmente il reparto di TI del CSP conta 16 letti e ogni paziente viene separato dal corridoio da una porta scorrevole. Di solito, si applica il cosiddetto isolamento dalle gocce; questo significa che, tra le altre cose, si deve indossare un camice protettivo e cambiare la mascherina ogni volta che si esce dalla stanza».

«Nel caso di un isolamento da aerosol», prosegue Stierli, «la situazione cambia, perché l’aerosol è più fino rispetto alle gocce e rimane sospeso nell’aria. Avevamo inoltre bisogno delle ormai celebri mascherine FFP2 per proteggerci dall’inspirare aerosol.Il CSP ha dovuto applicare misure strutturali per isolare con pareti e camere d’aria una sezione della TI, creando così il reparto COVID di terapia intensiva».

«Ora c’è solo bisogno di noi.»

 Sarah Stierli

La logopedista ricorda di quanto la situazione fosse diventata estremamente tesa in quel periodo. «Si sapeva poco sul virus, e altrettanto poco sul modo migliore per proteggerci. Il primo periodo fu particolarmente stressante». E poi, lei e il suo team arrivarono a una rivelazione: «Ora c’è solo bisogno di noi. Questo è il nostro compito principale, indipendentemente dal virus».

Rieducazione alla deglutizione e alla parola nonostante la ventilazione meccanica – il ruolo della logopedia nella TI

In cosa consiste esattamente l’approccio della logopedia? «Tutti i pazienti che passano intubati più di 48 ore presentano una sensibilità ridotta della gola», spiega Stierli. «Inoltre c'è un pericolo latente che sviluppino un disturbo della deglutizione, ovvero facciano fatica a deglutire bene la propria saliva. Anche mangiare, bere e prendere farmaci può diventare problematico».

Per questo motivo, la logopedia valuta la deglutizione e la gestione della saliva e delle secrezioni in pazienti che sono stati precedentemente ventilati per via orale (intubati). Alcuni possono tornare a respirare di nuovo autonomamente, altri possono necessitare la ventilazione meccanica e sono quindi sottoposti a tracheotomia: si crea un accesso diretto alle vie aeree con un’incisione della trachea e si inserisce nel foro creato una cosiddetta cannula tracheale.

«Oltre alla deglutizione, la logopedia applicata a un reparto di TI serve anche a garantire la comunicazione», prosegue Sarah Stierli. «Per permettere la rieducazione alla deglutizione e alla parola, ci avvaliamo di una valvola fonatoria per far sì che i pazienti possano continuare a parlare anche quando sono sottoposti alla ventilazione artificiale».

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Responsabilità e massima concentrazione: la realtà quotidiana presso la TI-COVID

Quando i tubi di ventilazione sono scollegati, la macchina soffia l'aria esalata contaminata dal paziente nella stanza. «Tutte le misure logopediche applicate ai pazienti generano aerosol», spiega Stierli. Comprensibilmente, l’ottemperanza a questo compito era particolarmente sentita durante la prima ondata nel 2020. Rischi e benefici per i trattamenti nella TI-COVID dovevano essere ben soppesati. «I pazienti gravemente colpiti da COVID-19 hanno eseguito una terapia del linguaggio almeno una volta al giorno, a volte anche di più. Abbiamo fatto tutto il possibile per non esporci troppo a pericoli», racconta Stierli.

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Sarah Stierli in abbigliamento protettivo al lavoro nella TI-COVID: quando il tubo di ventilazione viene staccato dal paziente per un breve periodo, ogni minuto conta.

Lavorare in queste condizioni non è mai stato comodo.«Bevevo poco per non dovermi togliere la mascherina, ma anche per non dover andare in bagno con tutti gli indumenti, che era scomodo. Di solito non facevo nemmeno delle pause, solo all'ora di pranzo», racconta Stierli. Il personale mangiava in uno spazio separato dal reparto di terapia intensiva, dove era permesso togliersi brevemente l’abbigliamento protettivo.

«L’eterno dilemma: cosa posso prendere e quando? Si tratta di un immenso sforzo mentale.»

Sarah Stierli.

Ogni singola mossa nella TI-COVID era ponderata nei minimi dettagli. Stierli ricorda: «L’eterno dilemma era: cosa posso prendere e quando? Si trattava di un immenso sforzo mentale». Naturalmente dovevamo anche avere fiducia nel comportamento degli altri. «Nella terapia intensiva eravamo tutti nella stessa barca», spiega, «e dovevamo assumerci responsabilità anche per le altre persone».

Paura e gratitudine: le emozioni più intense nel reparto COVID di terapia intensiva

Oltre alle misure di arginamento del virus, la logopedista era soprattutto occupata ad alleviare la solitudine dei pazienti ricoverati in terapia intensiva, che non potevano ricevere visite per mesi. «Non potevamo nemmeno avere la certezza che potessero un giorno rivedere i propri cari», ammette Stierli. Questo aspetto è stato particolarmente sentito da tutto il personale occupato nel reparto COVID di terapia intensiva.

«All’improvviso siamo diventati i sostituti di una persona importante, di una moglie o di un figlio. Siamo diventati il loro unico punto di riferimento» spiega la logopedista. Nel contesto della terapia occorreva ad esempio garantire la comunicazione con i parenti tramite la valvola fonatoria. Spesso ha dovuto organizzare chiamate su FaceTime, stringendo così anche stretti legami con i parenti: «da un punto di vista emotivo era molto pesante, ma anche gratificante perché percepivo quanto fosse importante la nostra presenza».

Tutta questa situazione è riuscita a lasciare anche un’impronta positiva? Stierli cita la coesione ancora più forte all’interno del team e tra tutti i collaboratori del CSP. Inoltre, ha appreso molto anche dal punto di vista professionale. Il motto ufficioso del Centro, «non c’è nulla di irrisolvibile» rimane ancora oggi lo slogan quotidiano.

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Niente tempo per rilassarsi: la ricerca scientifica presso il CSP

Durante l’estate 2020, dopo la prima ondata, si sarebbe davvero potuto tirare un sospiro di sollievo, rivela Stierli. Ma questa era proprio l’occasione per integrare le esperienze tratte dalla terapia intensiva in un lavoro di ricerca. Per questo motivo, le riusciva difficile ridurre gli straordinari e rilassarsi come avrebbe dovuto, ammette.

«Mi ero ridotta solo a lavorare, mangiare e dormire.»

Sarah Stierli.

E poi la seconda ondata nell'autunno 2020 è arrivata molto più velocemente di quanto avrebbe potuto prevedere. «A volte mi soffermavo a pensare che non ce l’avremmo più fatta. L’emergenza ci ha di nuovo investito in pieno durante tutto l’inverno, prosciugandoci le energie. Ero stanca, esausta e non riuscivo a rilassarmi. Mi ero ridotta solo a lavorare, mangiare e dormire» racconta.

Vivi la storia di una persona colpita

Nella seconda parte di questa serie riportiamo la testimonianza del paziente Zeljko Raduljevic, rimasto paralizzato dopo aver contratto una forma grave di COVID-19. Dal 2021 Raduljevic segue un percorso di riabilitazione presso il CSP di Nottwil. Racconta apertamente di come ha vissuto quel periodo, di come affronta questa situazione, e confida un «piccolo miracolo».

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