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«È mia moglie, non la mia infermiera.»

Familiari curanti – La solidarietà inizia a casa

Una gran parte delle mansioni relative alle cure e al sostegno di persone con una limitazione fisica ricade sulle spalle dei loro familiari. Un lavoro che avviene in silenzio, lontano dalla consapevolezza della società, poiché la politica tende a puntare i riflettori sulla persona bisognosa piuttosto che sulle prestazioni di sostegno erogate dalle numerose mani che sgravano il nostro sistema sanitario. Antonio Ufenast, paraplegico da un incidente motociclistico, e sua moglie ci svelano come gestiscono le cure a casa in modo che non compromettano la loro relazione.

Testo: Stefan Kaiser
Immagini: Dominik Plüss

Una questione di organizzazione

Quando Antonio l’ha conquistata con la sua simpatia, Rahel Ufenast sapeva esattamente a cosa andava incontro. L’uomo di cui si è innamorata è tetraplegico. «All’epoca alcune persone a me vicine non hanno reagito bene», si ricorda la 29enne assistente domiciliare della Spitex. «C’è chi mi ha detto: ‹Ma ci hai pensato bene? Cosa te ne fai di un uomo in sedia a rotelle?›» Ma a lei non importava di quello che pensavano gli altri e da ormai sei anni è sposata con Antonio. Dal loro amore nascono due figlie: Zoé a marzo 2016 e la piccola Mia a novembre 2019.

A giudicare da come viene gestita l’assistenza di Antonio, la giovane famiglia di Allschwil (BL) sembra aver trovato l’equilibrio giusto: hanno delegato alla Spitex le cure mattutine, che richiedono ben due ore e mezzo, e il trasferimento nella sedia a rotelle, mentre la sera Rahel porta a letto suo marito quando rientra dal turno serale. Il resto della giornata Antonio lo trascorre saldamente legato alla sua sedia a rotelle, in modo da non cadere. «Quando Rahel non è a casa bado io alle bambine», racconta il 42enne, e aggiunge: «Ovviamente non sarebbe possibile se fossi già a letto quando lei la sera va al lavoro.» Nonostante le sue due mani funzionali gli consentano una certa indipendenza, Antonio non riesce a trasferirsi autonomamente sulla sedia a rotelle.

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Antonio Ufenast mentre fa un puzzle con la figlia maggiore Zoé.

Spontaneità senza Spitex

Occupandosi Rahel stessa del trasferimento a letto, la coppia riconquista una maggiore libertà, poiché non deve sempre tenere d’occhio l’orologio quando esce la sera. «Se volessimo ricorrere alla Spitex, dovremmo rincasare sempre alle 22.00. E diciamo che sarebbe abbastanza dura, soprattutto d’estate», precisa Rahel, una donna piena di allegria ed energia. E per conciliare casa, lavoro, figli e marito di energia gliene serve non poca. «Confesso che non è sempre facile», ci confida. «E quando le bimbe sono finalmente a letto e io mi sono messa comoda sul divano, ci puoi scommettere che serve qualcosa a mio marito...»

«C’è chi mi ha detto: ‹Ma cosa te ne fai di un uomo in sedia a rotelle?›»

Rahel Ufenast

Separare i ruoli

Nel 2003 l’ex installatore di riscaldamenti è rimasto vittima di un incidente in moto e dopo nove mesi di riabilitazione a Nottwil è finalmente potuto tornare a casa. Oggi si occupa della figlia maggiore, di tutte le questioni tecnologiche e dà una mano in cucina. Eppure vorrebbe fare di più: «Faccio quello che posso, ma avendo perso la funzione delle dita molte cose mi sono impossibili.»

La coppia cerca di separare nettamente i ruoli: «Infatti io sono sua moglie, non la sua infermiera», spiega Rahel. In caso di emergenza ovviamente è pronta a intervenire, ma essendo anche lei impiegata presso la Spitex sa che, per tutelare la propria psiche e la propria relazione, chi esercita questa professione talvolta ha bisogno di un po’ di tempo per sé, per fare passeggiate, praticare sport e vedere amici. Purtroppo i dati delle ricerche svolte a Nottwil evidenziano che proprio questi aspetti vengono spesso trascurati.

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L’aiuto della famiglia

Il sostegno del nucleo familiare rappresenta da sempre un pilastro portante per l’organizzazione in seno alla famiglia Ufenast. A riabilitazione conclusa, Antonio si separa dalla sua partner di allora. Sua madre, che aveva previsto di ritornare in Spagna, decide quindi di trasferirsi nei pressi di suo figlio per potersi occupare quotidianamente di lui. Senza questo suo sacrificio, Antonio non avrebbe mai potuto vivere in un appartamento proprio. Oggi, invece, è la madre di Rahel che badando alla piccola Mia permette a sua figlia di riprendere il lavoro dopo la maternità.

Sebbene cerchino di ripartire equamente i compiti, durante le vacanze è la giovane madre a risentirne, poiché si accolla lei tutte le cure. «Sinceramente per me non sono proprio delle vacanze», ci confessa. «Però lo faccio volentieri perché così abbiamo la possibilità di stare insieme, tutta la famiglia.» Al momento preferisce non pensare a cosa sarà quando non avrà più la forza fisica per affrontare tutto ciò.

 

Familiari curanti: il 72 % sono donne e l’84 % vive nello stesso nucleo domestico.

 

 

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